Federico Giuranna
– EUROCODING
Intervista di Ivan Giorgio Ramaroli
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[Le aziende delle etichette: tra servizio completo e “fai-da-te”]

Oggi il mondo dell’etichettatura è diventato molto più flessibile di un tempo ed è molto più abbordabile anche per i piccoli clienti. Per esempio nel settore degli alimentari – dai piccoli produttori di marmellate a quelli di olio o di qualsiasi prodotto del beverage – le piccole aziende hanno non solo i mezzi per realizzare in casa il proprio prodotto, ma anche la possibilità di etichettare in autonomia la propria merce, con lo scopo poi di venderla in autonomia attraverso il canale dell’e-commerce, gestendo un mercato più o meno ampio in base alle scelte e alle specifiche esigenze.

Dal vostro osservatorio, questo fenomeno, che ha modificato un po’ le logiche consuete e che era già iniziato prima della pandemia, che evoluzione ha avuto in questo periodo?

Prima di questa crisi e di questa emergenza sanitaria, quello alimentare era già un settore – lo abbiamo avuto per tanti anni sotto gli occhi – alla continua ricerca di quei prodotti biologici, equi, a chilometro zero, che toccano temi a cui la stragrande maggioranza dei consumatori presta ormai attenzione. Oggi in tema food siamo tutti estremamente più consapevoli di quello che vogliamo mangiare e di quello che di conseguenza vogliamo comprare. Per un’azienda dedicata alla produzione alimentare, si tratta di un processo che richiede la valutazione di tantissimi aspetti. Nella prospettiva di presentare ai consumatori un prodotto green, bisogna tenere conto delle questioni fondamentali di ricerca e sviluppo, quindi capire che cosa effettivamente vuole la clientela, come realizzare il prodotto e di conseguenza come affrontare anche la fase finale che riguarda il packaging, la confezione e la distribuzione. Sono argomenti fondamentali.

Noi abbiamo visto che soprattutto tante piccole e medie imprese, che possiamo definire davvero “artigianali”, con una struttura estremamente contenuta e che però vogliono dare un valore aggiunto al loro prodotto, in modo tale che davvero si percepisca che si tratta di un prodotto a chilometro zero, sono quelle aziende che cercano un modo per potersi distinguere nel mercato anche andando alla ricerca di prodotti che gli permettano di stampare una semplice etichetta, fino a soluzioni tecniche che permettano la stampa e l’applicazione dell’etichetta.

Pensiamo, per esempio, al settore degli apicoltori o di chi produce le confetture e le marmellate: sono settori di nicchia fatti ancora – fortunatamente – da piccoli artigiani, da piccole realtà che hanno un fortissimo interesse nel proporre un prodotto naturale, a chilometro zero, e che hanno la necessità di rispettare determinate normative riguardo all’etichettatura. Queste realtà pongono un’altissima attenzione, come dicevamo prima, al lancio sul mercato di un prodotto con determinate caratteristiche, ma oggi non si tratta semplicemente di dire al consumatore “Ti offro un prodotto a chilometro zero”, bensì si tratta di essere capaci di raccontarlo. E raccontarlo significa “vestire” il prodotto con un packaging, con un’etichetta capaci di comunicare al consumatore quanto effettivamente c’è, a livello di ricerca, di cura e di passione, nel prodotto che in quel momento si sta offrendo.

Ho letto da qualche parte che ognuno di noi alla fine dell’anno mangia, o rischia di mangiare, un intero piatto di plastica. Questo che cosa significa? Significa che, riferendoci al food and beverage e alla maggiore consapevolezza dei consumatori, questi piccoli produttori, che hanno sempre messo una grandissima passione nel proporre prodotti biologici e a chilometro zero, oggi in qualche modo stanno trovando un mercato (o forse sarebbe più corretto dire stavano trovando, prima che arrivasse questa pandemia) estremamente proattivo e disposto a spendere magari qualche euro in più, a fronte però della qualità. Quella qualità che oggi si trova nel prodotto ma anche nel packaging e nella capacità di presentarsi alla clientela: qualcosa, per intenderci, che difficilmente troviamo sullo scaffale di un supermercato.

Per venire a noi e a come si è evoluto il mercato da parte nostra, sostanzialmente oggi la nostra azienda, potendo offrire soluzioni sia di etichettatura sia di applicazione dell’etichetta, grazie all’evoluzione della tecnologia, può garantire ai propri clienti un servizio affidabile e completo. In questo senso, li lascia concentrati sulla produzione del loro bene, perché della parte di etichettatura in un certo senso non devono essere investiti: sanno che devono rispettare determinate normative, ma non devono essere degli specialisti nel campo dell’etichettatura di un prodotto; devono sapere quali sono le informazioni necessarie da riportare sull’etichetta, ma poi ci deve essere qualcuno che li consigli sulla soluzione migliore per poter, appunto, impacchettare ed etichettare la loro merce. Oggi la tecnologia, in qualche modo, è andata incontro a queste aziende, perché esistono soluzioni che prima avevano un impatto non indifferente dal punto di vista dell’investimento e che oggi invece sono accessibili con un investimento estremamente contenuto.

Raccontare un prodotto significa “vestirlo” con un packaging e un’etichetta capaci di comunicare al consumatore quanto effettivamente c’è dentro

[Stampare in autonomia: è davvero un male?]

È vero che il tema dell’investimento è molto importante, ma la questione non è solo sull’abbattimento del costo nell’acquisto di un servizio che ieri non mi potevo permettere e oggi mi posso permettere; riguarda anche la possibilità di introdurre un concetto di flessibilità legato alla produzione. In altre parole, se prima stampavo 10.000 etichette e poi, se il mercato, il prodotto o le esigenze cambiavano, io comunque quelle etichette, bellissime e ben fatte, dovevo tenermele in casa, adesso le possibilità tecnologiche permettono di gestire il tutto in modo più snello, più flessibile adeguandosi alle esigenze produttive.

Assolutamente vero, anche se non so quanto sia un bene oggi parlare di “flessibilità”. In un certo senso io associo questo termine a una connotazione negativa: non viene più utilizzato semplicemente con un’accezione positiva, come si è fatto per molti anni. Io penso che il termine “flessibilità” debba essere usato dandogli il giusto peso. Parlerei più di “necessità”: oggi le aziende hanno la necessità di essere svincolate da determinate imposizioni date e dettate dal mercato.

Una piccola azienda che produce a livello artigianale marmellate o miele, o qualsiasi altro prodotto alimentare, con basse tirature – quindi non stiamo parlando di un livello industriale – è legata ad alcuni vincoli. Quali? Se devo produrre la mia merce, per quanto poi non mi interessi, so (e lo devo per forza sapere) che devo adempiere a determinati obblighi legati all’etichettatura e che quindi dovrò etichettare il mio prodotto. E oggi, sapendo di avere delle tirature molto limitate, non ho la disponibilità economica di mettermi in casa un macchinario per produrmi in autonomia le etichette e rendermi così autonomo. In realtà questo tipo di ragionamento non è del tutto corretto, perché bisognerebbe in qualche modo affrontare la questione in profondità, ma comunque oggi accade ancora che alcune aziende sono costrette, in base ai dati statistici, a prevedere le vendite di un prodotto per acquistare un minimo di etichette necessarie per etichettarlo. In questo caso acquisto un’etichetta fatta e finita, quindi, quando mi rivolgo a un etichettificio per l’acquisto, farò fronte a un minimo d’ordine e questo minimo d’ordine purtroppo mi vincola, perché se alla fine dell’anno non avrò venduto tanti prodotti quanti effettivamente erano segnati sul mio forecast, questo mi costringerà a prendere le etichette ordinate e a buttarle perché non potrò più utilizzarle. In sostanza, penso che oggi la possibilità di rendere questi artigiani, queste piccole-medie imprese, autonomi nella produzione, ma anche nella fase di applicazione delle etichette stesse, sia fondamentale.

Innanzitutto non tolgono lavoro agli etichettifici, i quali sono comunque interessati a vendere questo tipo di soluzioni perché possono alzare la testa, guardare che cosa è presente sul mercato a livello di soluzioni, imparare, capire effettivamente come poter approcciare il cliente. Inoltre quel tipo di soluzioni possono essere vantaggiose per il cliente ma anche per l’azienda che le propone, perché un etichettificio oggi sicuramente è concentrato e focalizzato sulla vendita di etichette neutre, e sul continuare a fare da service di stampa, ma questo non significa che vendendo una stampante o un applicatore all’utente finale non possa più continuare a farlo. Il neutro l’etichettificio continuerà a venderlo, e continuerà a vendere comunque servizi di stampa, senza avere problemi in questo senso. Io penso che oggi, piuttosto che non vendere una soluzione al cliente, rischiando di perderlo, forse è meglio incominciare a instaurare un dialogo, capire effettivamente che tipo di esigenza abbia il mio interlocutore per poter rispondere con una soluzione adeguata.

Credo sia fondamentale rendere autonome queste piccole-medie imprese nella produzione e nella fase di applicazione delle etichette

[Un nuovo modello commerciale: dalla vendita alla partnership]

Ti chiedo una riflessione sull’idea del “piccolo è bello”, cioè dell’Italia delle piccole-medie aziende con tutti i loro pregi, ma anche e soprattutto con tutti i loro difetti, soprattutto in confronto a realtà europee che non hanno questo tipo di organizzazione e di dimensioni aziendali. Volevo in particolare stimolarti su ciò che riguarda la cura, il dialogo e la relazione con il cliente, che nel tuo caso sono la rete dei rivenditori con cui hai a che fare, i quali a loro volta diventano il tramite verso il cliente finale.

Mi sembra che ci sia da una parte l’approccio “alla Amazon” di marketing automation, per cui dal momento in cui entri nel sito di Amazon fino a quando si conclude l’ordine avrai un’assistenza, un tracciamento delle informazioni, chiamiamola una cura del cliente molto automatizzata e ai massimi livelli; dall’altra mi pare di capire che tu punti soprattutto su una relazione, e in particolare su un’assistenza e ancor di più su una formazione rispetto alla tua rete.

A me piace definire Eurocoding come “la società che va a scoprire i problemi”. Che cosa significa? Significa che oggi il rapporto con il cliente – ma questo lo è sempre stato – è fondamentale. Sembra una frase da bar, ma non lo è: i clienti sono coloro che ci pagano gli stipendi e ci permettono di portare il pane in tavola ogni giorno. Ritengo che essi debbano essere seguiti semplicemente cambiando punto di vista, vale a dire che bisogna smettere di vendere direttamente in modo proattivo e andare alla ricerca dei problemi.

Sappiamo tutti che, quando abbiamo un problema e non abbiamo la capacità di poterlo risolvere da soli, abbiamo bisogno della mano di un esperto o, se non abbiamo un esperto al quale rivolgerci, di un amico, un consulente, un conoscente, un collaboratore.

Io penso che oggi i clienti non vadano abbandonati ai loro problemi, a se stessi, in mezzo a enormi difficoltà – perché ricordiamoci sempre che comunque compiono un investimento. Sto parlando di un cliente che ha acquistato un bene e questo bene non svolge il proprio dovere, quindi non lo sta aiutando a coprire le proprie esigenze, anzi gli crea un problema e fa emergere la necessità di una soluzione.

Ecco, quando dico che Eurocoding ha la capacità, e la voglia, di individuare questi problemi, sono certo che non siamo dei pazzi: sappiamo che in quel momento abbiamo una freccia al nostro arco che, se scagliata bene, riuscirà a risolvere il problema a quel cliente e ci consentirà di catturare la sua attenzione. Non siamo più l’azienda che vuole vendere in modo proattivo, facendo la guerra sul prezzo – e quindi la guerra dei poveri.

Oggi c’è un contesto che porta le aziende a essere flessibili. Perché? Perché devono continuamente cambiare le proprie regole. Se ieri io vendevo a “tizio” e avevo impostato determinate policy, oggi vendo a “caio” e devo rivedere tutto quanto, sia il prezzo sia le policy, perché il mercato e la concorrenza me lo chiedono. Invece, quando sposti il tuo punto di vista, puoi arrivare a dire: “Basta, io la guerra dei prezzi non la voglio fare, non sono interessato a vendere direttamente, voglio cambiare la mia prospettiva, perché capisco che risolvere un problema a un cliente porta una forte attenzione nei miei confronti, e una volta che gli ho risolto il problema sicuramente il cliente arriverà a chiedermi qualcosa”. Non ha bisogno solamente di risolvere quel problema: forse in una fase iniziale sì, ma poi si crea comunque un rapporto. Chiaramente da parte dell’azienda bisogna mettere in campo anche la capacità commerciale, l’abilità nella customer care per curare quel tipo di cliente, non abbandonarlo, non farlo intiepidire: se il cliente è caldo perché è stato risolto un problema, allora bisogna subito in qualche modo cercare di legarlo maggiormente a sé. Io penso che questo sia fondamentale.

La relazione con il cliente è sempre stata importante, però oggi bisogna capire da quale punto di vista la si vuole affrontare. Potrebbe essere importante perché si tratta di un cliente che compra tanto, ma oggi quel cliente c’è e domani non c’è più… quindi questa strategia lascia un po’ il tempo che trova. Secondo me, quando si parla di collaborazione tra fornitore e cliente, quando si parla di clienti fidelizzati, ci deve essere qualcosa che va oltre la semplice vendita, ci deve essere un rapporto vero, basato sulla fiducia e sulla trasparenza. Ed è quello che noi oggi, e dal 2016, stiamo cercando di fare.

Fiducia e trasparenza possono sembrare termini astratti, e di fatto lo sono, ma noi riusciamo davvero a concretizzarli ogni giorno. I rivenditori hanno la possibilità di parlare con noi e hanno la capacità di comprendere che stiamo dicendo loro la verità, perché glielo abbiamo dimostrato per tanti anni. Non abbiamo più, insomma, la necessità né la voglia di andare a contattare i clienti per vendere in modo proattivo, come dicevo prima, ma abbiamo più l’interesse a risolvere i problemi e a proporci come un compagno di squadra, che sta al tuo fianco e che, se ti si è presentato un problema, lo condivide con te e vuole aiutarti a risolverlo.

Mi piace definire Eurocoding come la società che va a scoprire i problemi

[Il fornitore come compagno leale]

Come selezioni, come vai alla ricerca dei fornitori e dei produttori che a tua volta rappresenti sul mercato? Che tipo di relazioni stringi con loro?

Come andare a cercare i fornitori? Bella domanda. Sicuramente, la prima risposta che posso dare è ascoltando e parlando con il nostro canale di rivendita e riuscendo, attraverso i loro racconti e le loro storie, a percepire e a catturare quelle che possono essere le esigenze del mercato, che si evolvono anno dopo anno. Questo ci consente – l’abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo – di avere orecchie per ascoltare tutti i nostri rivenditori e occhi per guardare il mercato e capire effettivamente se ci sono delle soluzioni – e per soluzioni intendo prodotti – che possono essere rappresentate dalla nostra società ed essere immesse sul mercato.

Il prodotto sicuramente è il primo criterio, è fondamentale. Non andiamo alla ricerca di fornitori che offrono merci distanti da quelle che noi conosciamo o distanti dalle esigenze del mercato attuale. Cercare prodotti coerenti con il proprio business credo che sia utile – oggi più di prima – perché all’interno delle aziende manca la piena consapevolezza di quello che vendono, mancano capacità e professionalità, mancano le skills, mancano le competenze: quindi andare alla ricerca di un prodotto troppo distante dal proprio settore significherebbe non essere preparati a venderlo, perché non si conosce a fondo quel tipo di mercato. Per noi, perciò, è fondamentale orbitare sempre attorno a soluzioni legate a quello che è il nostro core business, quindi qualcosa che sia complementare e che possiamo apprendere e conoscere velocemente, per capire subito quale tipo di esigenza di mercato può andare a coprire.

Oltre al prodotto è fondamentale capire la natura del fornitore, intendo dire quali sono i suoi interessi. È un aspetto molto divertente, perché generalmente era il fornitore a fare l’esame a chi lo voleva rappresentare, oggi invece anche qui voglio cambiare il punto di vista: io metto a disposizione il mio team e la mia preparazione per rappresentare il tuo prodotto, e sono io a voler capire quali sono i tuoi interessi e qual è la tua strategy. Io faccio parte di quel gruppo di persone che pensano che sia meglio far arrossire prima qualcuno, piuttosto che farlo sbiancare dopo: in altre parole, “Parliamoci chiaro subito, in modo tale che evitiamo delle sorprese poi”. Per tutto il team di Eurocoding è fondamentale sapere di avere un fornitore leale, che ti permette di costruire un mercato e che a distanza di anni rimane tuo complice, ossia continua a foraggiarti, continua a darti e metterti a disposizione delle basi per poter fare sempre meglio, e non ti ostacola in questo. E parlo con cognizione di causa, perché chiaramente ci è successo di avere a che fare con interlocutori “sleali” e ne siamo stati in qualche modo vittime; per cui oggi evitiamo questo tipo di fornitori.

Inoltre, sicuramente, noi oggi dal fornitore cerchiamo una forte componente umana: lo stesso atteggiamento che noi intendiamo rivolgere ai nostri clienti, in qualche modo, lo desideriamo anche ricevere dal fornitore. Vogliamo un fornitore che si preoccupi di noi, che si interessi ai nostri problemi per trovare un punto d’incontro e poterli risolvere quando si presentano. Quando, invece, la situazione è positiva e non sta succedendo nulla di drammatico, cerchiamo comunque di instaurare un dialogo e un rapporto con lui. Anzi, proprio in una situazione tutta “rose e fiori”, bisognerebbe cercare di capire insieme in che modo si possano implementare nuove strategie, per poter incrementare le vendite o per occupare nuove aree di mercato.

In sintesi, per noi, a livello di giudizio, la componente umana, il dialogo e la comprensione dei reali interessi del fornitore sono caratteristiche ed elementi importanti. Chiaramente, però, come dicevo prima, tutto parte dal prodotto di cui si va in cerca, e questo è un po’ un obbligo, un’imposizione. Non andremmo mai a cercare un fornitore di prodotti non compatibili con la nostra attuale attività.

Dobbiamo avere orecchie per ascoltare i nostri rivenditori e occhi per guardare il mercato

[La strategy aziendale, una bussola nelle tempeste del mercato]

Avendo a che fare con mercati internazionali, sicuramente avete avuto la possibilità di scorgere in anteprima tutto quello che è successo e che sta succedendo adesso, ma soprattutto di capire in anticipo cosa sarebbe successo in Europa, perché avevate delle notizie di prima mano.

Notizie in anteprima sono chiaramente arrivate alle nostre orecchie per forze di causa maggiore: oggi infatti siamo in qualche modo obbligati – anche piacevolmente, confesso – ad acquistare in Oriente, e questo naturalmente ci ha portato, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, ad avere già le prime informazioni che qualcosa in quella parte del mondo stava accadendo, senza sapere se poi avrebbe avuto un impatto anche sul nostro mercato o meno. In ogni caso, abbiamo avuto questo tipo di informazioni in anteprima.

E in questo momento di acque incerte, i produttori verso che cosa si stanno orientando? E il mercato che cosa sta richiedendo? Mi riferisco ai soliti discorsi sulla sostenibilità, se ne parla ormai da vent’anni…

Colgo subito la palla al balzo per il discorso sulla sostenibilità, che poi è legato anche al discorso dei prodotti e del mercato. Sono d’accordo, la sostenibilità, il green, l’eco, il chilometro zero, il prodotto artigianale – di cui abbiamo parlato prima – sono tutti termini che oggi vengono utilizzati spesso, ma, secondo me, forse proprio per mascherare che stiamo continuando a lavorare nello stesso modo di prima, o forse anche in un modo peggiore rispetto a prima. Non siamo cioè realmente consapevoli di quello che sta dietro al termine green o al termine chilometro zero, o che cosa significa davvero ecosostenibilità.

Io penso che un’azienda che abbia realmente un’anima ecosostenibile, green, lo sappia tranquillamente rappresentare e raccontare senza aver bisogno di utilizzare sui suoi prodotti delle etichette con colori verdi sgargianti o scrivendo a caratteri cubitali “Siamo l’azienda più ecosostenibile al mondo”.

Oggi il mercato si muove in quella direzione perché si “deve” muovere in quella direzione, perché i trend e ciò che leggiamo o che sentiamo attraverso i media lo dicono e lo impongono. Poi, però, penso fondamentalmente che manchino cognizione di causa e consapevolezza, e manchi la reale passione nel voler fare una cosa. Lo dicevo prima, e ritengo che sia fondamentale: un’azienda è ecosostenibile se tiene davvero al discorso dell’ecosostenibilità e del green, altrimenti il suo diventa un messaggio vuoto da trasmettere semplicemente alla clientela – e probabilmente anche ai fornitori – giusto per far percepire che si sta andando in una determinata direzione. Così sta facendo praticamente la stragrande maggioranza del mercato. E questo è sbagliato.

Faccio un esempio calzante riguardo a una tendenza che noi non abbiamo voluto seguire, anche se ammetto, in tutta onestà, che eravamo in procinto di prendere una posizione favorevole nei confronti di questo tipo di prodotto. L’anno scorso*, quando è scoppiata questa emergenza sanitaria, intuendo quelle che sarebbero state poi tutte le conseguenze negative, che cosa hanno iniziato a fare alcune aziende del nostro settore? Hanno cominciato a vendere ThermoScan, guanti, mascherine, alcune già marchiate (quindi con il logo), oltre ai totem per la misurazione e la rilevazione della temperatura automatica. Tutti prodotti che potevano essere compatibili con il core business di quelle aziende che effettuano il rilevamento delle presenze all’interno delle aziende, nel senso che oggi chi più delle aziende ha bisogno di tracciare la temperatura, vedere se una persona ha la mascherina o no prima che entri all’interno dell’edificio? Però è successo che tante altre realtà, che non avevano niente a che fare con quel mondo, ma che vendevano semplicemente delle stampanti o che facevano dei sistemi di stampa e applicazione, si sono messe a vendere questi tipi di sistemi. Secondo me questa è la dimostrazione concreta che oggi il mercato si sta spostando in una direzione non perché c’è la reale necessità di farlo, ma perché lo fanno tutti. Manca consapevolezza all’interno delle aziende, manca professionalità.

Oggi le aziende vendono prodotti e ne parlano senza avere realmente cognizione di causa di quello che stanno dicendo al proprio consumatore, e questo rappresenta prima di tutto un segnale di mancanza di strategy all’interno delle aziende. Non esiste una vera strategia, non c’è un obiettivo, e quando manca un obiettivo è difficile capire in quale direzione condurre la propria azienda, perché significa che si sta navigando a vista, anzi, si sta navigando fondamentalmente al seguito di altri, ci si sta facendo condurre dagli altri. A mio parere all’interno delle aziende è sbagliato non avere un obiettivo, è sbagliato non avere una strategy, è sbagliato non essere consapevoli di quello che l’azienda è oggi e di quello che deve diventare domani. In queste condizioni, si adottano delle soluzioni per coprire delle esigenze di mercato che molto probabilmente non si conoscono. E il mercato di 20, di 10 o anche solo di 5 anni fa, non è il mercato di oggi.

Oggi siamo abituati nella sfera privata ad acquistare dei beni ricevendoli il giorno dopo a casa nostra. E oggi non interessa più a nessuno se è lunedì, se è sabato o se è domenica: tu ordini il giorno prima e il giorno dopo ti arriva il prodotto a casa. Oggi le esigenze del consumatore, e di conseguenza le soluzioni che il fornitore deve trovare, sono totalmente diverse dagli anni passati. Io penso che la situazione che si è creata l’anno scorso*, con l’emergenza sanitaria legata a Covid-19, ha trasformato e, se non lo ha ancora fatto, trasformerà totalmente questo mercato. E il mercato, sappiamo, non è fatto solo di domanda e di offerta, è fatto di persone, così come le aziende, perché la domanda e l’offerta la creano le persone. Sono le persone ad aver cambiato il loro modello di ragionamento: la nostra matrice è cambiata.

* (Ndr: intervista realizzata nel marzo del 2021)

Quando mancano un obiettivo e una strategia, è difficile capire in quale direzione condurre la propria azienda

[Mezzi digitali e fattore umano]

Le aziende vivono ormai il difficile equilibrio – a volte una vera contraddizione – tra un approccio “analogico”, storico, istituzionale, e un approccio invece molto digital e smart. Come vi siete organizzati internamente e come avete deciso di sfruttare le potenzialità del digitale nella vostra organizzazione interna?

Posso dire con certezza che la nostra realtà oggi è un tipo di azienda che, proprio in questo momento, sta vivendo una trasformazione, un cambiamento. Prima di tutto Eurocoding, da quando ha avuto il cambio di gestione – nel 2016, quando sono subentrato direttamente io nella gestione dell’azienda – ha manifestato la volontà di introdurre nuovi concetti e nuovi principi, orientati alla digitalizzazione.

Quando utilizzo termini come trasparenza, sincerità e fiducia, lo faccio perché ritengo che le aziende oggi siano formate da persone. Non dobbiamo mai dimenticarci che siamo degli esseri umani, e per me la componente umana è fondamentale. Inoltre sono una persona che tiene tantissimo all’ambiente: sono consapevole di tutti i disastri ambientali che purtroppo l’essere umano ha provocato nei secoli, soprattutto in seguito alle rivoluzioni industriali che ci hanno portato a essere come siamo oggi, e che però ci hanno permesso anche di effettuare questo tipo di conversazione a distanza… Se non ci fosse stato quello sviluppo, non saremmo mai arrivati a questo punto, però dobbiamo anche riconoscere, senza nasconderci dietro a un dito, che tutta l’evoluzione che la nostra società è riuscita a compiere, grazie anche agli enormi passi fatti a livello industriale, ha impattato notevolmente sul nostro sistema ambientale.

Perché quindi parlare di digitalizzazione? Perché penso che sia un aspetto fondamentale per le aziende. Non ci si deve, però, focalizzare solo sul fatto che così si va a migliorare l’efficienza della propria azienda; questo infatti è solo uno degli aspetti del digitale. Io penso invece che la digitalizzazione oggi debba nascere prima di tutto dalla volontà di eliminare quei processi e quei metodi di lavorazione interni all’azienda che non solo sono molto lenti, e forse troppo macchinosi, ma allo stesso tempo incentivano gli sprechi. È il caso della stampa di fogli, cataloghi, listini e fatture, un’operazione che comporta davvero un grosso problema, che è quello del consumo di carta.

Ripeto, se parliamo di digitalizzazione, ci sono tanti aspetti da valutare. Io ne ho citati due: il primo è un efficientamento dal punto di vista dell’azienda nel migliorare determinati processi, l’altro è la consapevolezza di aiutare il nostro pianeta. E quest’ultimo è un gesto che, se fatto da tutti, sarebbe davvero eccezionale ed efficace.

La nostra azienda sta vivendo questa trasformazione negli ultimi anni. Innanzitutto, nel 2016, è stato completamente rifatto il sito web che, in qualche modo, è la dimostrazione reale di quello che ho detto poco fa: oggi tutti i nostri visitatori on line hanno libero accesso ai prodotti che Eurocoding rappresenta, con una serie di informazioni che io definisco “complete”. Se poi dovesse mancare qualcosa, forniamo tutti gli indirizzi e tutti i riferimenti necessari per poterci contattare (e-mail e numeri di telefono). Tutte cose che diciamo espressamente sul nostro sito, per ribadire il concetto della trasparenza.

Il nostro sito è visitabile sia da utenti finali che da rivenditori, ma noi lo diciamo subito chiaramente: effettuiamo la vendita solo ed esclusivamente sul canale di rivendita. Ciò non toglie che, se un cliente finale oggi ci chiama perché ha bisogno di avere maggiori informazioni su un prodotto, lo può tranquillamente fare, attraverso e-mail o telefono, e noi gli daremo tutte le informazioni necessarie perché è giusto informare il mercato di come funzionano le soluzioni e quale tipo di esigenze possiamo coprire. Poi, però, la fase di pura vendita non la effettueremo noi, anzi quell’utente finale, con il quale abbiamo parlato e con cui abbiamo avuto il piacere di scambiare delle informazioni, verrà trasferito a un rivenditore di zona.

Tornando al sito internet, penso che sia estremamente trasparente e chiaro, e che dimostri tutta la nostra volontà di non voler nascondere e omettere nessun tipo di informazione. È uno spazio aperto a tutti, salvo che nell’area riservata, che chiaramente è dedicata esclusivamente ai rivenditori nostri “partner”; non basta essere un semplice rivenditore, ma è necessario essere fidelizzato a Eurocoding. Il resto del sito internet è libero per tutti: che si tratti di utenza finale o che si tratti di rivenditore, la nostra volontà è quella di parlare piacevolmente con tutti, di poter trasferire le informazioni.

La fase di vendita non viene effettuata sull’utenza finale, ma solo attraverso il canale di rivendita e quello è stato il primo aspetto importante che abbiamo voluto chiarire, perché penso che il sito internet oggi non sia più una semplice vetrina, ma sia proprio un “vestito” della propria azienda, che mostra a tutti come ti rappresenti, non solo a chi ti conosce. Si tratta davvero di un vestito, veste la tua azienda e la rappresenta. Bisognerebbe, secondo me, insegnare alle aziende che curare quell’aspetto, curare il sito internet, è fondamentale, perché attraverso quel mezzo ti stai rappresentando, ti stai raccontando. Questo forse è il primo passo a livello di marketing che un’azienda deve fare.

Dopo questo, abbiamo implementato il discorso della chat, che per noi è stata fondamentale ed è stata realizzata con interesse e determinazione. Non abbiamo voluto implementare una chat istantanea semplicemente perché abbiamo visto che lo facevano tutti; no, l’abbiamo realizzata perché ne eravamo assolutamente convinti e ti confermo che la nostra efficienza sulla chat è di oltre il 96%… Non è un dato irrilevante, significa che tutta l’utenza di Eurocoding sa che nell’orario lavorativo, e in alcuni casi anche in un orario extra-lavorativo che va al di fuori della fascia regolamentata da contratto, siamo presenti e rispondiamo immediatamente: passano pochi secondi dalla richiesta del cliente e noi rispondiamo. Questo per noi è fondamentale: non è stato implementato questo servizio giusto perché lo stavano facendo tutti, era una cosa che volevamo fare noi per migliorare, per rivolgere un servizio migliore alla nostra clientela. La chat è la realizzazione di un approccio che dice “Ci sono”, con una disponibilità anche oltre la norma.

L’ultimo passaggio che ci riguarderà, e penso che sarà per noi un aspetto fondamentale, sarà quello del sito e-commerce. In questo momento è in fase di studio più che di progettazione vera e propria, perché stiamo valutando che tipo di modello vorremmo adottare. Comunque è sicuramente tra i nostri main goals da portare a termine. Dobbiamo farlo, sappiamo che è fondamentale oggi poter offrire un portale che sia consultabile, ma che dia delle informazioni e delle opportunità in tempo reale a chi visita il sito.

Un altro aspetto fondamentale del digitale riguarda l’aspetto umano: implementare dei processi digitali all’interno delle aziende non significa automaticamente annullare la componente umana. Non dobbiamo dimenticarci che le macchine vengono gestite da noi, quindi i processi digitali sono guidati dagli esseri umani. Non significa andare a creare delle aziende in cui manca l’essere umano, o in cui manca la capacità di ragionare da essere umani: non dobbiamo diventare degli automi, assolutamente. Questo è un aspetto del quale dobbiamo essere coscienti e che non dobbiamo assolutamente far mancare in futuro. La componente umana deve rimanere.

La digitalizzazione è fondamentale per le aziende, ma non ci si deve focalizzare solo sull’efficienza della propria azienda

[Attenzione e opportunità: la scelta della formazione]

Parlando ancora di consapevolezza, ci dici qualcosa sul vostro approccio alla formazione? Come rendete consapevole la vostra rete di partner? È un aspetto su cui state puntando e su cui punterete sempre di più in futuro?

La formazione in realtà l’abbiamo sempre cercata. Dal 2017 in avanti abbiamo formato, e informato, i nostri clienti – i rivenditori – attraverso dei corsi tecnici/commerciali, perché riteniamo che oggi siano fondamentali. Tutto parte da un ragionamento molto semplice: tutti noi abbiamo 24 ore a disposizione, ma purtroppo, a causa del continuo cambiamento del mercato, ci troviamo ad avere sempre meno ore a disposizione per poter fare quello che ci piace, o anche semplicemente per informarci. Per questo offriamo queste opportunità.

Qui torna in gioco la necessità che il fornitore che scegli non rimanga un semplice fornitore, ma sia il tuo compagno di squadra, il tuo amico che vive i tuoi stessi problemi. Allo stesso modo noi pensiamo di essere capaci di vivere gli stessi problemi dei nostri rivenditori, perché affrontiamo le stesse loro difficoltà e quindi siamo capaci di capirli. Sappiamo quanto oggi sia difficile stare continuamente al passo con i tempi e informarsi sulle novità, su tutte le innovazioni che il mercato cerca di introdurre; per questo abbiamo pensato, dal 2017, che il modo più facile per poterlo fare era istituire per i nostri rivenditori dei corsi tecnici/commerciali, di diverso livello a seconda delle esperienze e capacità dei partecipanti, con programmi ben delineati e obiettivi chiari da raggiungere.

Questo ci ha permesso di formare il nostro canale di rivendita: far conoscere quali erano i prodotti attuali e come questi si erano evoluti nel corso del tempo; sviluppare determinati discorsi puramente in prospettiva commerciale, piuttosto che a livello tecnico; affrontare o risolvere specifici problemi su determinati modelli di macchina. Questo ci ha permesso – ho avuto modo di raccogliere dei feedback in questo senso – di presentarci in modo diverso al canale di rivendita: non siamo più stati visti come dei semplici “rivenditori”, ma come un’azienda che presta molta attenzione ai propri clienti.

Inoltre, ci siamo sgravati di un aspetto non indifferente, cioè quello di ricevere continue chiamate da parte dei nostri rivenditori, che ci facevano capire quanto poco fossero pronti a descrivere e raccontare un nuovo prodotto, o a comprendere che cosa quel prodotto potesse fare per risolvere determinate problematiche ai clienti. Questo aspetto forse non lo abbiamo totalmente eliminato, ma sicuramente lo abbiamo ridotto di molto, perché le telefonate che oggi riceviamo, legate a questo aspetto, sono decisamente diminuite. Questo ci ha confermato il fatto che i corsi tecnici sono fondamentali.

L’altro tipo di formazione che facciamo non è esterna, ma interna. Prima abbiamo parlato della digitalizzazione: non ci dobbiamo dimenticare che, quando parliamo di una forte componente umana, parliamo di personale, e questo personale deve essere formato, deve essere cosciente e consapevole dei mezzi e degli strumenti che gli vengono messi a disposizione, proprio per poterli sfruttare e utilizzare nel miglior modo possibile.

La formazione, quindi, viene fatta innanzitutto internamente, dopodiché viene fatta esternamente e rivolta al canale di rivendita. Se si tratta di prodotti che l’azienda acquista e vende, e quindi che rappresenta – stampanti per etichette, lettori di codici a barre, terminali, veicolari, piuttosto che consumabili relativi, quindi prodotti rivolti al nostro canale di rivendita – sicuramente siamo in presenza di informazioni che noi impariamo internamente e che trasferiamo prima al nostro team e poi esternamente al nostro canale di rivendita. Se si tratta, invece, di soluzioni e di strumenti adottati dall’azienda per poter rendere più efficiente il proprio modello di business, allora quelle sono nozioni o tools che vengono raccontati e spiegati solo a livello interno, al proprio personale.

La formazione ci ha permesso di presentarci in modo diverso al canale di rivendita, come un’azienda che presta molta attenzione ai propri clienti

[Generazioni a confronto: il valore dell’esperienza]

Un’ultima domanda, un po’ più personale. Ti chiedo una considerazione sul valore dell’età e dell’esperienza nel campo imprenditoriale. Tu hai assunto la responsabilità di questa azienda nel 2016 e oggi hai poco più di 30 anni: che cosa ha significato iniziare così giovane un’avventura imprenditoriale?

Com’è stato intraprendere questo cammino? È stato difficile, e lo è tuttora. Sicuramente anche a causa dello scenario attuale che stiamo vivendo, che avrei evitato volentieri, come penso tutti noi.

È davvero difficile, a differenza di quello che si può leggere sui libri o che si può sentire dai media dei grandi imprenditori, qualunque età abbiano. Penso che l’imprenditoria oggi sia, forse più di prima, particolarmente complicata. Siamo costantemente sul filo del rasoio, alla ricerca di novità e di innovazioni da presentare al mercato. È difficile rimanere in una situazione di equilibrio, “di stallo”: non è possibile, il mercato non te lo consente. Lo abbiamo detto prima, il mercato è ciclico ed è caratterizzato da avvenimenti che costantemente si ripetono – le crisi – per cui è normale che non siamo su un tavolo da gioco che può consentire delle situazioni di stallo. Partiamo quindi da questo presupposto: chi oggi si trova a svolgere e a ricoprire una posizione imprenditoriale deve sapere che ogni giorno è diverso, ed è davvero diverso. In alcune situazioni questo può essere in qualche modo abbastanza frustrante.

Per quanto riguarda l’età, secondo me non è importante. L’età diventa un aspetto importante più che altro per una questione di tempo. Oggi puoi avere 30 anni e avere già avuto una vita ricca grazie a mille esperienze in giro per il mondo, conoscendo tante persone, tante realtà, imparando a convivere con diverse situazioni; però è un dato di fatto che, se hai 30 anni, hai avuto sicuramente meno tempo rispetto a una persona di 50 anni che ha vissuto nel tuo stesso modo. Diventa, più che un discorso di età anagrafica, una questione di esperienza e di tempo. Il tempo insegna tantissimo, soprattutto se sei capace di utilizzarlo bene, perché oggi l’unica risorsa che nessuno si può permettere di comprare è proprio il tempo. L’ho detto prima, abbiamo solo 24 ore al giorno…

Dobbiamo essere consapevoli che il nostro tempo privato, cioè quello che dedichiamo alle cose che ci piace fare, è sempre meno, e di conseguenza dobbiamo utilizzarlo al meglio. Questo significa che tutto il resto del tempo deve essere ben organizzato e ben schedulato per poterci permettere di fare e compiere le azioni che abbiamo programmato durante la giornata e portare a termine i nostri obiettivi.

In conclusione, sono assolutamente grato per la posizione che ricopro, l’ho sempre desiderata; provengo da una famiglia di imprenditori, per cui penso in qualche modo di aver sempre voluto far parte di questa categoria. Ritengo che, come dicevo prima, l’età anagrafica non sia un aspetto fondamentale ma lo siano l’esperienza, la passione, la voglia di sapersi migliorare e, soprattutto, l’essere coscienti che è dura e che non si può rimanere su un piano di gioco che ti permette di prendere una decisione per i prossimi 10 o 15 anni: sei su un piano di gioco in cui tutto cambia, tutto si evolve e tu, di conseguenza, ti devi adattare. Questo è estremamente stimolante. L’altra faccia della medaglia è anche la frustrazione, nel senso che, se non sei una persona con un carattere forte e abituato a mutare a seconda del mercato, quindi con un forte spirito di adattamento, tutto diventa difficile.

Quello che succederà nei prossimi anni, lo vedremo. Da qui a 5 anni, le generazioni di imprenditori definiti boomers, quelli insomma delle passate generazioni, dovranno essere sostituite dalla generazione dei Millennials, dalla generazione Zeta, dalla generazione X, e bisognerà vedere che cosa succederà, cioè come queste generazioni intendono rapportarsi internamente, quindi con i propri dipendenti, ma anche che tipo di propensione al dialogo avranno con il mercato esterno. Tra gli elementi nodali dei prossimi anni ci sarà proprio il tipo di relazione che le persone con responsabilità nelle aziende avranno con quelli che li circondano.

Chi oggi si trova a ricoprire una posizione imprenditoriale deve sapere che ogni giorno è diverso

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