Mario Vergani
– KOPRON
Intervista di Ivan Giorgio Ramaroli
28 marzo 2022
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[Innovazione, prodotto, design: un processo vincente]

Con decenni di esperienza Kopron propone soluzioni integrate di alta gamma e made in Italy. Qual è il processo che vi porta alla realizzazione di un prodotto, standard o su misura? Come si arriva dal contatto con il cliente al lancio di un prodotto e alla sua presentazione sul mercato?

Alla base dei nostri prodotti c’è sempre la fase di Ricerca e Sviluppo, abbinata a quella di Innovazione e Design. Sono sempre questi i nostri punti di forza, sia nel caso di una filiera produttiva standard sia nelle soluzioni non standardizzate.

In genere partiamo dalla realtà del cliente e cerchiamo di seguire le sue idee e le sue proposte, adattandole ai nostri criteri produttivi e aziendali. Solo successivamente, se il prodotto funziona e viene riproposto più volte, creiamo un processo di standardizzazione. Se è vero quindi che la base iniziale è il prototipo “fuori standard” (l’innovazione), questa fase viene poi studiata e programmata per essere portata a livello industriale. Infatti è indubbio che con la standardizzazione si ottiene il meglio a livello di costi, a livello di tempi, a livello di marginalità.

Questo passaggio avviene grazie a un processo interno molto specifico. Abbiamo un ufficio dedicato che fa ricerca e sviluppo, quindi propone in continuazione prodotti innovativi. Questo team però non lavora da solo, ma collabora con l’Ufficio Tecnico, con l’Ufficio Marketing e con altri uffici, per esempio quello Commerciale: l’obiettivo finale è infatti quello di creare un prodotto interessante per il mercato sotto tutti gli aspetti.

Alla fine di questa catena abbiamo un prodotto che, pur essendo rivolto all’industria – e che quindi non arriva al residenziale – trova nel design un aspetto significativo. Siamo in Italia, quindi la nostra propensione è di dare al prodotto sempre un tocco “estetico”, un qualcosa in più riguardo alla forma e all’eleganza del risultato finale. Questa è una prerogativa di Kopron, realizzata anche attraverso semplici dettagli. E non a caso abbiamo ottenuto molti risultati interessanti proprio perché ci distinguiamo anche sotto questo aspetto: un semplice portone industriale, che può apparire neutro, o magari una maniglia, una cerniera, un oblò… possono essere costruiti in un certo modo, con dei particolari che fanno la differenza e rendono gradevole l’ambiente di lavoro anche agli occhi del comune mortale, che in genere è abituato a valutare questi aspetti solo nell’ambito residenziale o commerciale.

Noi abbiamo questa filosofia da parecchi anni e abbiamo sempre collaborato con studi di architettura, che ci hanno consigliato come realizzare e consolidare questa differenziazione tra noi e il mercato comune. Siamo perfino arrivati a registrare dei brevetti, sia ornamentali che di prodotto: un elemento che alla fine viene sempre molto apprezzato. Questo vale soprattutto in Italia, ma anche all’estero ormai da noi si aspettano sempre “qualcosa in più”, anche se ci muoviamo nel settore industriale.

L’obiettivo finale è quello di creare un prodotto interessante per il mercato sotto tutti gli aspetti

[Flessibilità e rapidità di fronte al mercato]

Questo approccio al mercato è molto sfidante, tanto più che le vostre soluzioni vengono applicate in contesti molto vari: l’industria, la logistica, lo sport, gli eventi e ultimamente anche gli ospedali. Come fate a rispondere a esigenze così diverse?

È più semplice di quello che si possa pensare. Faccio l’esempio del momento storico che stiamo vivendo adesso, caratterizzato dal problema del Covid: quando è scoppiata l’emergenza, non avevamo una linea dedicata al settore ospedaliero e medicale, però abbiamo capito che l’esigenza in questo campo era concreta e abbiamo deciso di agire.

Fare un prodotto nuovo può sembrare complicato, ma in alcuni casi è abbastanza semplice, perché basta riadattare quello che si ha già; tante volte non è necessario costruirlo ex novo, anche perché spesso non c’è il tempo necessario per farlo.

Noi, per esempio, abbiamo costruito dei piccoli ospedali da campo, delle strutture per i Pronto soccorso rapidi: in un periodo di Covid, in cui scarseggiava il materiale, le aziende erano chiuse e la gente voleva tutto e subito… siamo stati bravissimi a riadattare i nostri prodotti grazie a competenze specifiche. Con piccole modifiche siamo riusciti a essere rapidi nella realizzazione, che era l’aspetto principale, e a dare una funzionalità più che un valore estetico (anche se in realtà siamo riusciti a dare anche quello). È stata una vera sfida di fronte alla necessità di rispondere in tempi rapidissimi e di aiutare tutti.

Le esigenze del cliente cambiano. Nel caso appena citato si trattava del settore ospedaliero, ma il principio si può adattare a molti altri ambiti. Si deve essere capaci di mettere in discussione quello che fa parte del proprio know-how e capire immediatamente il contesto in cui ci si trova. Nell’emergenza abbiamo affrontato situazioni in cui per noi erano più importanti alcune cose, mentre per il cliente erano fondamentali altri aspetti: non è stato facile conciliare le idee, ma ci si è confrontati e alla fine si è arrivati all’obiettivo comune. E in tutto questo la rapidità non è stata un fattore da poco.

Sono state belle soddisfazioni, non tanto di lavoro o di mercato, quanto di sostegno alle persone per raggiungere obiettivi comuni. In una situazione molto caotica e drammatica, siamo stati freddi e con l’aiuto di tutto lo staff Kopron, che ha dimostrato una partecipazione altissima e inaspettata, abbiamo ottenuto risultati notevoli.

In una situazione caotica, siamo stati bravissimi a riadattare i nostri prodotti in tempi brevi

[Innovazione in sicurezza]

Oggi le innovazioni in atto – come la grossa spinta dell’e-commerce o le soluzioni automatiche di stoccaggio – fanno parte del cuore operativo delle aziende manifatturiere o logistiche. Questo fenomeno, che nell’ultimo anno ha avuto un notevole impulso, come ha orientato le vostre scelte strategiche?

Nel recente periodo si è assistito a una vera e propria corsa all’automazione, perché è realmente una necessità. Il core business di Kopron è fatto da tre divisioni: le strutture di carpenteria (capannoni retrattili in telo), le baie di carico – dove si fanno carico e scarico degli automezzi – e infine tutti i tipi di chiusure. L’impulso verso l’automazione si è avuto in tutte e tre le divisioni, ma soprattutto in quelle logistiche, ovvero quelle delle baie di carico, dove c’è movimento di mezzi.

A cosa servono le strutture automatizzate di questa divisione? Sostanzialmente riducono i tempi di carico e scarico dei mezzi: da noi si è passati da una media di circa 40 minuti per il carico di un camion con il metodo tradizionale a soli 10 minuti con il nuovo metodo, con il personale più che dimezzato. E un altro dettaglio non va trascurato: si lavora in velocità ma sempre in sicurezza. Anche questo aspetto è legato all’automazione.

Con l’automazione siamo nel pieno dell’industria 4.0. Le nostre strutture si possono integrare con tutti i magazzini centrali o interni delle varie logistiche o degli stabilimenti produttivi. E questo permette appunto di ottenere la 4.0 a livello di connessione e di sicurezza.

La sicurezza è un tema molto sensibile per noi. Abbiamo sviluppato tanti accessori in questo senso; un esempio significativo è quello dei blocca-camion: una delle cause maggiori di incidenti nel carico e scarico era rappresentata dal movimento non previsto dell’automezzo all’arrivo del carrellista; così poteva succedere che il carico si rovesciasse, causando danni che si possono facilmente immaginare. Invece con le nuove soluzioni, sempre interconnesse, il camionista non può più andare via, quindi il mezzo rimane fermo fin quando l’operazione non è ultimata e fin quando l’operatore stesso (che rischia la sua incolumità) sblocca un meccanismo di sicurezza.

Questo è solamente una delle iniziative che stiamo portando avanti già da qualche anno e che vogliamo sviluppare attraverso step ulteriori. In Italia siamo un po’ arretrati su questo aspetto, ma penso che a breve riusciremo a recuperare terreno. Noi siamo sulla buona strada, e questo è un punto a nostro vantaggio.

Con l’automazione siamo nel pieno dell’industria 4.0: le nuove soluzioni sono tutte interconnesse

[Uno stile sostenibile]

La parola “velocità” mi sembra fondamentale, deve però avere un risvolto positivo non solo per la sicurezza, ma anche per la sostenibilità: velocità infatti può significare anche meno dispersioni termiche. Partendo da questa considerazione, qual è la sua riflessione sulla sostenibilità?

Sì, tutto è collegato. Facendo riferimento ancora all’esempio di prima, le nostre baie di carico offrono velocità, sicurezza e anche sostenibilità. Riusciamo infatti a evitare dispersioni di calore tra l’interno e l’esterno utilizzando delle attrezzature che chiamiamo “sigillanti” (dock shelter), che non permettono sbalzi termici e consentono così di ottenere un buon grado di temperatura all’interno. Si può quindi lavorare in piena sicurezza e allo stesso tempo rispettare l’aspetto della sostenibilità.

D’altra parte Kopron, in tutte le sue sedi in Italia e all’estero, ha sempre investito nel fotovoltaico per quanto riguarda la produzione di energia elettrica. Abbiamo forse più di 4 MW a disposizione e, addirittura, con il fotovoltaico riusciamo a coprire quasi l’80% di quello che consumiamo. Questo consente una riduzione delle emissioni di CO2, il che rappresenta un bel passo verso la sostenibilità. All’inizio del 2011 abbiamo sfruttato le agevolazioni energetiche dello Stato, perché avevamo intuito immediatamente i possibili vantaggi. Abbiamo quindi impostato dei nuovi sistemi che adesso ci stanno ripagando.

In realtà la nostra mentalità – la cultura aziendale e familiare – ha sempre guardato all’ambiente e al suo rispetto, e l’industria non è mai stata vista come modello di business fine a se stesso, ma anche come modello di vita. Questo è il principio trainante di tutto il nostro impegno per la sostenibilità, fa parte del nostro DNA e fa piacere che tutti adesso comincino a guardare al mondo produttivo non solo come fonte di interesse economico o come business, ma anche come modo di vivere responsabilmente.

Anche i nostri prodotti recepiscono questa mentalità. In un certo senso siamo avvantaggiati perché i nostri sono prodotti fatti con l’acciaio e con il PVC, che sono materiali riciclabili; e lo stesso si può dire dei cartoni dell’imballo. Insomma, cerchiamo sempre di recuperare tutto il materiale che utilizziamo, di differenziare la raccolta dei rifiuti e così via.

Guardando al futuro, stiamo passando in modo abbastanza graduale all’elettrico anche per il nostro parco mezzi. Ci sentiamo parte di un trend che ci auguriamo rappresenti veramente un nuovo modo di vivere nei prossimi anni.

Abbiamo sempre guardato all’industria non solo come business ma anche come modello di vita

[I partner all’estero, tra efficienza e formazione]

Nel DNA di Kopron non c’è solo l’Italia; avete stabilimenti e sedi anche all’estero. Come selezionate partner e rivenditori in mercati diversi dall’Italia? Che relazioni stabilite in questi mercati?

La strategia commerciale estera è partita parecchi anni fa. Allora era molto semplice e consisteva nell’avere dei punti di riferimento nazionali in ogni continente per poi, piano piano, estendersi anche ad altre zone del territorio. Nel 2005, per esempio, abbiamo aperto un’azienda produttiva in Cina, poi nel 2010 ne abbiamo aperta una in Sudamerica, a San Paolo in Brasile. Negli altri continenti per nostra fortuna avevamo già dei rivenditori, che erano ben radicati nel Nordamerica e anche nel Middle East, e anche qui siamo riusciti ad attuare la nostra strategia. Abbiamo attivato, quindi, un mix tra rivenditori e presenza fissa.

La strategia ha funzionato: negli ultimi 10-15 anni, proprio quelle due unità che avevamo creato nel Far East, ovvero in Cina, e in Sudamerica hanno dato dei risultati eccezionali, e negli ultimi 4-5 anni quelle che noi chiamavamo start-up adesso sono diventate delle vere e proprie realtà. Il trend è decisamente positivo.

Come scegliamo i nostri partner? In genere l’approccio è abbastanza simile in tutte le parti del globo: si cerca di contattare chi è già nel settore e chi può avere un’organizzazione tale da coprire il mercato in maniera capillare; poi, una volta fatta questa selezione, si attiva anche un discorso di formazione. Noi dedichiamo tanto tempo alla formazione dei nostri collaboratori e penso che questo, alla lunga, porti a vantaggi non indifferenti. Infatti avere una rete che è soltanto “commerciale” può essere limitante; per noi la rete deve essere tecnico-commerciale, e questo dà indubbiamente un valore aggiunto. È un metodo che abbiamo sempre perseguito e che ci ha portato ad avere un discreto successo: prima formazione e poi scelta strategica della tipologia di vendita.

A proposito di estero, ci svela qualche cosa sul capannone in Sudamerica che avete recentemente ultimato in poco tempo?

In Sudamerica di recente abbiamo stabilito un vero record: in mezzo a mille difficoltà, abbiamo costruito il capannone più grande che sia mai stato realizzato da Kopron. Lo abbiamo fatto in tempi record, con una progettazione fatta da noi in collaborazione con i tecnici sudamericani e soprattutto nel periodo del Covid, quindi con tutte le problematiche annesse.

Basti pensare, per esempio, ai trasporti difficili e alle complicazioni nell’arrivo dei materiali. Il Brasile è uno Stato federale – quindi tra uno Stato e l’altro c’è la dogana – e i nostri materiali sono partiti da San Paolo e sono arrivati nel Maranhão, nel Nordest del Brasile, attraversando circa 3.000 chilometri in mezzo a innumerevoli problemi, con blocchi e ritardi.

Nonostante tutto, siamo riusciti a realizzare l’impresa nei tempi prestabiliti, anche se ovviamente con costi aggiuntivi – devo essere onesto, perché effettivamente questo ci ha creato un po’ di problemi. Però, essere stati in grado di realizzare un capannone in tempi brevi (sia come progettazione, sia come installazione e per di più in un periodo come quello del Covid) è stata veramente una grande soddisfazione.

Per noi la rete deve essere tecnico-commerciale e questo dà indubbiamente un valore aggiunto

[Customer first]

Parliamo della cura del cliente: come mantenete le relazioni con il vostro mercato, con quali strumenti? Sia nel “prima”, cioè quando cominciate ad ascoltare il cliente, sia nel “dopo”, quando gli fornite delle soluzioni, e infine quando gli date assistenza o formazione sull’utilizzo dei vostri prodotti.

Per quanto riguarda la cura del cliente, Kopron ha un’esperienza lunga 40 anni, quindi penso che i clienti li sappiamo gestire bene e abbiamo capito senza dubbio l’evoluzione del mercato e anche l’evoluzione del cliente. Prima c’erano molto meno pretese, adesso c’è un’esigenza sfrenata e quindi i clienti vanno, non dico coccolati, ma curati con attenzione e soddisfatti sempre con risposte in tempi rapidi. Questo è un po’ il nostro modus operandi per quanto riguarda l’attenzione alla clientela.

Oltre a questo, cerchiamo anche di formare i nostri clienti, almeno in parte, sul prodotto che acquistano: vogliamo fargli capire come usarlo, come fare una prima manutenzione, ecc… Poi negli anni, per cercare di sopperire a eventuali problemi post-vendita, abbiamo creato una società apposita che si chiama Kopron Service 2000, proprio per il momento in cui è nata, circa vent’anni fa. È necessario che il cliente non venga mai abbandonato, nemmeno dopo la vendita.

I nostri prodotti per fortuna, o per sfortuna (dipende dal punto di vista), non hanno bisogno di una manutenzione quotidiana, ma di una manutenzione semestrale o annuale; spesso accade che il cliente, quando ha dei tempi così dilatati, la trascuri e si trovi dei problemi in un secondo tempo. È questo che vogliamo far capire al nostro cliente, per legarlo a dei contratti e poi dargli la possibilità di avere un prodotto che può durare a lungo.

Oltre a questo, il rapporto con il cliente si concretizza in altri modi. Per esempio, le normative cambiano in continuazione e quindi noi, avendo così tanta storia alle spalle, siamo in grado di consigliare il cliente. Prima parlavamo delle baie di carico: questi ambienti vent’anni fa non erano come quelli di adesso; oggi ci sono degli elementi di sicurezza aggiuntivi, che abbiamo dovuto integrare, e delle nuove certificazioni. In casi come questo, noi chiamiamo direttamente il cliente, lo informiamo della situazione e solo dopo interveniamo. Sono tutte cose che il cliente apprezza, perché sente la nostra presenza.

Avere “presenza” vuol dire anche avere “storia”, un aspetto che un’azienda nuova, una start-up, non può vantare. Questo per noi, però, non è solo un vanto, ma nello stesso tempo è anche una grande responsabilità: siamo consapevoli che il cliente va servito e gestito al meglio. Il post-vendita serve molto per curare il cliente. In sostanza, abbiamo una doppia valenza: quella di poter vendere un prodotto nostro – che non ci dispiace assolutamente – ma anche quella di dare un servizio al nostro cliente.

È necessario che il cliente non venga mai abbandonato, nemmeno dopo la vendita

[La sfida del servizio “chiavi in mano”]

Il mercato sta andando anche verso una richiesta di soluzioni “chiavi in mano”. Vi siete attrezzati anche da questo punto di vista nella vostra organizzazione?

Direi di sì. In passato non abbiamo mai voluto fare il passo più lungo della gamba e in realtà, in una prospettiva di servizio al cliente, il “faccio tutto io” a noi non è mai piaciuto tanto: la nostra filosofia è “faccio tutto” solo se lo so fare nel migliore dei modi. Abbiamo preferito dire spesso di no, anche a lavori certi, per non fare la figura di offrire prodotti che non andavano bene o non soddisfacevano pienamente il cliente.

Con il passare degli anni, però, abbiamo capito questa esigenza e abbiamo aperto un’altra divisione, con un nome completamente nuovo: si chiama Kontractor, come general contractor, e dà un servizio “chiavi in mano”. In sostanza è una struttura che ottimizza tutti i costi e tutte le esigenze del cliente, offrendo un servizio completo. Il cliente non deve praticamente fare più nulla, deve solo conoscere le tre cose più importanti: quanto tempo deve aspettare, quanto spende, senza trovarsi delle varianti in un secondo tempo, e naturalmente qual è la qualità del prodotto. Queste sono le impostazioni che abbiamo dato alla nuova divisione, che è nata ormai da cinque anni e che sta avendo notevoli successi, dando un impulso non indifferente al core business industriale di Kopron.

[Presente e futuro: problema o opportunità?]

Vorrei parlare dell’ultimo anno, con tutte le problematiche legate al Covid: mercato variabile e incerto, fiere annullate, mercato estero più difficile da gestire… Com’è andata per voi? Che azioni avete messo in campo?

Adesso siamo più tranquilli e possiamo rispondere, anche perché sappiamo come rispondere. L’anno scorso* nel mese di marzo, infatti, l’elemento traumatico è stato chiedersi “Che cosa succede? Che cosa dobbiamo fare?”. In quel frangente, come ho già detto, noi siamo stati veramente bravi e freddi, e abbiamo capito subito con quale spirito affrontare questa situazione nuova e impensabile. Abbiamo realizzato che non si trattava di una cosa individuale, di una sola azienda, ma era una cosa mondiale; così, noi di Kopron l’abbiamo vissuta come un’opportunità e non come un problema. Quando c’è un problema, deve diventare un’opportunità: questa è un po’ la filosofia di Kopron.

Oltre ad avere adeguato i nostri prodotti ai settori nuovi, quello ospedaliero e quello medicale, abbiamo capito che era il momento di accelerare e che forse era l’occasione del cambiamento, quindi l’abbiamo presa come una nuova sfida, un nuovo modo di resettare in parte e ripartire. E questa decisione sta dando buoni risultati: l’anno scorso abbiamo avuto una flessione – e neanche molto consistente – solamente per quanto riguarda il fatturato, mentre nelle vendite abbiamo registrato un incremento addirittura del 30% a fine anno in confronto al 2019. Quindi abbiamo avuto uno sbandamento nei tre mesi iniziali dell’anno, ma poi ci siamo ripresi e abbiamo addirittura accelerato.

Personalmente vedo che quest’anno c’è una spinta ulteriore. Io parlo dell’industria, ovviamente – non posso parlare del settore turistico o alberghiero, che purtroppo sta attraversando un periodo veramente difficile. In Italia si prevede un incremento del PIL del 4,2%, il che è normale se si pensa che siamo scesi quasi del 10% però, se in due anni riusciremo a tornare ai livelli prima del Covid, vorrà dire che saremo stati decisamente bravi. Siamo riusciti a integrarci bene in questo nuovo modo di vivere e nuovo modo di lavorare, che ormai fanno parte del nostro modo di operare.

* (Ndr: intervista realizzata nel maggio del 2021)

Abbiamo capito che era il momento di accelerare e che era l’occasione del cambiamento

[Il salto manageriale]

La piccola-media azienda italiana con tradizione familiare vive sicuramente un equilibrio difficile fra tradizione e innovazione. Ci lascia un suo commento in proposito, un racconto della vostra esperienza?

Avere un’azienda a gestione familiare ha dei pro e dei contro. Il rischio è di essere troppo chiusi, di rimanere troppo ancorati al passato e quindi di invecchiare ed essere superati. Se invece c’è una certa voglia, un certo interesse nel guardare a quello che succede intorno, questo può essere un vantaggio per crescere. L’intelligenza che deve avere un’azienda familiare è quella di non guardare solo al suo interno e alla sua storia, ma di cercare di fare un passo in avanti, per esempio inserendo dei manager che possano permettere di fare un salto di qualità.

Come in tutte le cose, ci vuole un giusto mix: la razionalità e la programmazione da una parte, la voglia di crescere e di avere competenze dall’altra. È molto importante sapere inserire in azienda il manager (o i manager), evitando così il “faccio tutto io” tipico del sistema familiare tradizionale italiano: è qui che si riesce a fare davvero il salto di qualità. Se si rimane ancorati alla vecchia tradizione, si rischia di finire; se, invece, si riesce a capire che bisogna fare il salto manageriale, questo può dare veramente un impulso notevole. Ed è quello che stiamo facendo in Kopron.

Non bisogna poi dimenticare che tutto questo è dovuto non solo alle singole persone – in particolare quelle della proprietà – ma al team di lavoro che si è riusciti a creare: è questo che ti permette di andare avanti. Se in Italia riesci a creare un team valido, allora hai una carta vincente contro ogni concorrenza. Riuscire a creare un ambiente di lavoro positivo sembra banale, ma assolutamente non lo è. Noi, in Kopron, con la giusta volontà ci stiamo riuscendo e stiamo proseguendo su una strada che ci sta dando ottimi risultati.

L’intelligenza di un’azienda familiare è quella di capire che c’è bisogno di un salto manageriale

 

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