Stefano Moreschi
– MORESCHI
Intervista di Ivan Giorgio Ramaroli
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[Vita di un portone: dal contatto con il cliente all’installazione]

Partiamo dalla vostra filiera produttiva: qual è il processo progettuale che porta dall’ideazione alla realizzazione di un vostro prodotto? Che cosa sta dietro a una soluzione produttiva, che a volte può essere standard, ma nel vostro caso è spesso su misura?

I nostri prodotti hanno delle tipologie base: il portone classico, quello a libro o scorrevole, le porte veloci, i portoni sezionali… Da questa base si può attivare un processo per personalizzare la proposta. Questo in genere viene fatto con un incontro, preferibilmente in loco, con il cliente; ormai ci sono anche altre modalità “a distanza”, ma quando ci si trova a dover affrontare un problema, spesso è meglio incontrarsi in presenza con tutto il consiglio aziendale.

Al cliente bisogna fare più domande possibile, solo così si riesce a capire quali sono le sue reali esigenze, le sue necessità, per potergli consigliare in prima istanza una tipologia di portone e redigere poi un’offerta economica accompagnata da un progetto di base. Poi, se questa offerta viene confermata, si procede con l’ordine.

Una volta acquisita la commessa, si va più in profondità nel progetto: da diversi anni lavoriamo con sistemi di progettazione tridimensionali (Autodesk Inventor) e questo ci permette di controllare fino all’ultima vite del prodotto, di visualizzare come verrà realizzato e come funzionerà anche nella fase di movimento; è un sistema indispensabile anche per intercettare eventuali interferenze con le strutture esistenti o con altri impianti dell’azienda. In altre parole, facciamo funzionare il portone a video prima che venga realizzato materialmente.

Avete quindi a che fare sia con il cliente finale, sia con un ufficio tecnico, un progettista. Ci sono approcci diversi con queste due tipologie di committenti?

Ci sono modi diversi di rapportarsi, anche se esistono molte analogie fra l’una e l’altra tipologia. Diciamo che il cliente finale è spesso affiancato da uno studio di progettazione – ingegnere, architetto, geometra – o comunque da uno studio esterno che lo supporta nelle scelte e nella progettualità.

Per noi, poi, esiste un’altra tipologia di cliente: il nostro “cliente tipo” è il rivenditore, in Italia ma soprattutto all’estero. Avendo delle filiali estere – una filiale produttiva in India e due uffici commerciali, uno in Inghilterra e l’altro negli Stati Uniti – il nostro “cliente tipo” fuori dall’Italia è il rivenditore, il dealer, il concessionario: acquista da noi e poi, in tandem con noi o autonomamente, si occupa dell’installazione e della manutenzione finale.

Facciamo funzionare il portone a video prima che venga realizzato materialmente

[Flessibilità e customizzazione]

Dal punto di vista progettuale, quali sono le sfide più impegnative e di maggior soddisfazione che avete affrontato?

Ultimamente stiamo lavorando in parecchi cantieri importanti, in particolare lo Yachting Club di Montecarlo e i padiglioni fieristici di Teheran (all’interno del progetto Sun City Project). Inoltre abbiamo eseguito l’installazione a Pescara di due mega portoni presso i Vigili del Fuoco e all’interno dell’aeroporto, al nucleo elicotteristi. Nel contempo lavoriamo per l’Esercito in una base militare in Romania, dove abbiamo installato un mega portone da 60 metri per 13. Tra le altre commesse rilevanti a livello internazionale, circa 5 anni fa, abbiamo messo in opera un portone di grandi dimensioni per il parcheggio dei dipendenti della Microsoft nello Stato di Washington, poi all’Havana Club a Cuba, alla Nestlé in Nigeria… Ma non ci dimentichiamo dei clienti locali del paese accanto, piuttosto che di Milano, Piacenza e mille altre città italiane che hanno sempre rappresentato lo zoccolo duro della clientela per la Moreschi.

Un’anima complessa, quindi: dal super-locale al super-internazionale. Operate anche in settori molto diversi fra loro, dall’industria al terziario, al commerciale, fino ad attività più particolari, come la nautica. Un portone è sempre un portone, ma ogni progetto ha caratteristiche e peculiarità proprie: qual è quindi la vostra capacità di rispondere a mercati, settori, esigenze così diverse?

Abbiamo sempre avuto la propensione a proporci sul mercato con un prodotto che non è mai standard al 100% ma che parte da una tipologia base per arrivare a un progetto individualizzato e alla sua specifica realizzazione finale. La chiave di volta, forse, è proprio quella di non avere uno standard, ma personalizzare, “customizzare” il prodotto ogniqualvolta c’è una richiesta particolare del cliente.

La chiave di volta è quella di non avere uno standard, ma personalizzare il prodotto

[Le ricadute dello sviluppo della logistica]

Recentemente, e in particolare nell’ultimo anno, la logistica ha avuto un grandissimo impulso. Che effetti ha avuto sulla vostra azienda?

La logistica non è uno dei tasselli fondamentali per la nostra azienda. Ci sono imprese che producono specificatamente tipologie di porte e portoni dedicate alla logistica; per noi invece si tratta di un prodotto di commercializzazione, pertanto non riusciamo a essere così concorrenziali con le grandi logistiche.

Noi invece riusciamo a essere concorrenziali con il cliente che nella propria azienda ha piccole quantità di vani di carico e richiede un mix di prodotti che noi siamo in grado di fornire in toto. Per fare un esempio, stiamo realizzando in questi ultimi anni diverse installazioni per clienti che hanno richieste molto frammentate: 3 vani di carico, 6 portoni a libro, 4 portoni tagliafuoco, 10 porte rapide, 20 porte di sicurezza…

Questo mix di prodotti è difficilmente reperibile sul mercato presso un unico fornitore e il cliente si trova in difficoltà, perché è costretto a relazionarsi con tante aziende diverse che producono solo una tipologia di prodotto. Con noi invece ha una fornitura unica, diversificata e personalizzata: noi siamo in grado di offrire tutte le chiusure e i portoni che abbiamo a catalogo, e il cliente ha il vantaggio di avere un unico referente. Questo è il nostro cavallo di battaglia.

Siamo in grado di fornire un mix di prodotti: una fornitura diversificata e personalizzata

[Prodotto e infrastrutture: la scelta per la sostenibilità]

Da tanti anni ormai si parla di “sostenibilità”, una parola che a volte può suonare vuota. Questo per voi – sia per il prodotto sia per la produzione – è un tema sensibile a cui prestate attenzione o è qualcosa che – non per vostra volontà ma per la tipologia del prodotto – non rientra nelle priorità dell’azienda? A volte si assiste al tentativo di “tingersi di verde” a tutti i costi: che riflessioni fate internamente su questo argomento?

Da oltre trent’anni produciamo porte e portoni coibentati. L’azienda in realtà esiste da più di cinquant’anni – siamo nati nel 1967 come carpenteria – ma da oltre trent’anni produciamo con la logica dell’isolamento termico e del risparmio energetico.

Il discorso della sostenibilità per noi è molto semplice: tutti i nostri prodotti, anche una porta veloce, separano un ambiente esterno, freddo o caldo che sia, da un ambiente interno, riscaldato o climatizzato, cioè dividono due zone che presentano un delta termico. Per fare un esempio estremo, basti pensare che noi lavoriamo molto anche nei Paesi arabi e in Africa, dove c’è una forte esigenza di isolare gli ambienti dal caldo esterno e tenere fresco l’interno.

La coibentazione, quindi, porta con sé il discorso della sostenibilità e del risparmio energetico. Sono aspetti che fanno parte del nostro DNA, qualcosa che ci anima tutti i giorni.

Questa logica funziona per il prodotto, ma vale anche per le strutture dell’azienda. Nel tempo le abbiamo ampliate e modernizzate seguendo criteri sostenibili: per esempio, da diversi anni utilizziamo il riscaldamento a pavimento (anche nei reparti produttivi) e siamo stati i primi ad avere capannoni e prefabbricati con la concezione di isolamento termico.

Senza fare a tutti i costi gli ecologisti, posso quindi tranquillamente dire che il tema della sostenibilità ci appartiene, è un tema che sentiamo profondamente nostro.

I nostri prodotti coibentati portano con sé il discorso della sostenibilità

[La gestione dell’azienda: ingranaggi vecchi e nuovi]

Dopo questa panoramica sui prodotti e sul mercato, passiamo all’aspetto gestionale: come organizzate la vostra azienda, quali sono le priorità che date nella filiera produttiva dall’idea di prodotto al prototipo, fino alla realizzazione e commercializzazione?

Il nostro processo organizzativo è ormai rodato da diversi anni. Le richieste arrivano agli uffici commerciali – ne abbiamo due, in Italia e all’estero – e qui vengono gestite in prima battuta attraverso il contatto con il cliente (in presenza, via mail o telefonicamente) e attraverso la presentazione dell’offerta economica.

Se il processo va a buon fine, si arriva all’ordine, che prende vita sempre nell’ufficio commerciale, ma che attiva un iter all’interno dell’azienda che passa dall’ufficio amministrativo e dall’ufficio tecnico. In questa fase si evidenziano eventuali rilievi ed eccezioni alla proposta e si elaborano concretamente i progetti, che ormai da qualche anno sono gestiti con un sistema di modellazione tridimensionale. Tra l’altro questi sistemi sono utili anche per la produzione interna, perché servono per far funzionare gli impianti della nostra azienda: è un sistema concatenato che permette di far funzionare tutti gli ingranaggi dell’azienda Moreschi.

Questo è il flusso standard, tradizionale. Ovviamente nella nostra azienda non sono bandite le soluzioni innovative. Non siamo fanatici del “Si è sempre fatto così”: lo scorso anno, per esempio, abbiamo “approfittato” del periodo di lockdown per migliorare ulteriormente il nostro “meccanismo aziendale”. Abbiamo assunto 3 nuovi collaboratori che si occupano della manutenzione programmata, ordinaria e straordinaria per il cliente finale. Per questo motivo abbiamo messo a punto internamente un software dedicato, da utilizzare durante le uscite di manutenzione: i tecnici adesso lavorano con un tablet in mano per fare i loro interventi su un portone. Questa soluzione per noi rappresenta una novità, e l’abbiamo studiata e realizzata perché ci siamo accorti che era utile, anche se non rientrava nei nostri standard.

In questa logica, all’interno dell’azienda molte cose sono state digitalizzate, sia per le operazioni quotidiane sia per l’archiviazione di dati. E questo è un aspetto che ci ha occupato per circa 6 mesi lo scorso anno.

Un altro plus che utilizziamo è un sistema gestionale – dall’offerta fino alla fatturazione – che è in funzione ormai da 18 anni e che, sempre aggiornato, ci permette internamente di lavorare insieme e parlare tutti la stessa lingua. Ma non ci fermiamo qui. Il miglioramento, l’innovazione, non sono niente di male; abbiamo ancora dei progetti in corso che verranno poi messi a frutto quest’anno e il prossimo anno.

È un sistema concatenato che permette di far funzionare tutti gli ingranaggi dell’azienda

[La presenza sul mercato tra strumenti tradizionali e nuove competenze]

Nel settore marketing e in quello commerciale, quanto è importante per voi il digitale? Quanto ci investite e quanto ci credete, rispetto a un approccio più tradizionale di relazione e di incontro?

Fino a qualche anno fa si diceva che con l’arrivo dei computer sarebbe sparita la carta e con lei la pubblicità sulle riviste cartacee, su riviste e quotidiani. Invece fortunatamente tutti questi vecchi sistemi di comunicare e di proporsi sul mercato sono ancora a tutt’oggi validi, compreso il passaparola, perché il cliente contento è comunque tra i veicoli pubblicitari migliori.

Anche un altro appuntamento tradizionale è importante per noi: quello delle fiere. Le abbiamo sempre fatte, quasi mensilmente, sia direttamente sia con la filiale indiana, con la filiale produttiva o con l’azienda degli States. Ormai è più di un anno e mezzo che siamo praticamente fermi e verosimilmente lo saremo ancora per un po’, ma è un ambito “tradizionale” che vogliamo presidiare.

Sul versante digitale, invece, ormai da alcuni anni siamo presenti su Pool Industriale e questo rappresenta per noi un valore aggiunto, un veicolo commerciale non da poco. Abbiamo poi implementato internamente tutto quello che è il discorso della rete informatica. Lo scorso anno, durante il lockdown, ci siamo dedicati alla riprogettazione in toto del nuovo sito, che ha avuto e ha molti consensi e contatti. Lo curiamo internamente, come anche tutti i nostri canali social. Da noi tutti i sistemi di comunicazione con il cliente – vecchi e nuovi – interagiscono fra loro.

Da noi tutti i sistemi di comunicazione con il cliente – vecchi e nuovi – interagiscono fra loro

[Mantenere i contatti: come e quando?]

Riguardo alla cura del cliente, come gestite le relazioni con il vostro network? Avete degli incontri programmati? Utilizzate dei sistemi digitali? E poi, una volta stretta la collaborazione, che tipo di contatto mantenete?

In questo ultimo anno e mezzo, durante la pandemia, si sono sviluppati diversi sistemi come quello che stiamo utilizzando adesso per questa intervista, sistemi telematici per interagire e incontrare le persone. Sono mezzi che permettono un confronto diretto con una persona che sta dall’altra parte del mondo, piuttosto che a pochi chilometri di distanza. Quello che prima si faceva fisicamente ora è possibile farlo a distanza, con grande risparmio di tempo e risorse.

Per i dealer, o per le nostre filiali, lavorando su progetti specifici, spesso ci si trova a interloquire quasi quotidianamente, sia in Italia che all’estero, parlando dei progetti in essere e delle prospettive di sviluppo dal punto di vista commerciale. Purtroppo attualmente non si possono fare troppi programmi sul lungo periodo, questa pandemia ci ha insegnato che è veramente difficile: quello che pensi oggi, fra 15 giorni o un mese può essere completamente sconvolto. In ogni caso il contatto con i nostri collaboratori è quasi quotidiano o perlomeno ha una cadenza settimanale o mensile, e viene realizzato preferibilmente attraverso sistemi tecnologici di comunicazione.

[L’impatto della crisi e il nuovo impulso al Made in Italy]

Restiamo sul tema della pandemia. Quest’ultimo anno e mezzo, incerto e variabile – soprattutto per voi che siete nella Bergamasca, una delle zone più colpite d’Europa – che riflessioni vi ha portato a fare? Che azioni avete messo in campo e che previsioni, eventualmente, fate per il prossimo periodo?

Devo dire che, grazie agli incentivi fiscali e a tutte le azioni che ha messo in atto il Governo italiano, e anche grazie agli interventi a livello regionale, il mercato ha ribaltato un po’ le nostre abituali percentuali di vendita. Se fino a 2-3 anni fa per noi il mercato era per la maggior parte all’estero – circa il 60-70% – oggi, anche per le restrizioni negli spostamenti e per la difficoltà di avere contatti diretti al di fuori del nostro Paese, il mercato interno va dal 70% all’80%, mentre il resto è orientato all’export. Una situazione ribaltata.

In questo contesto, mi piace sottolineare il fatto che è tornato a farsi vivo anche un certo spirito patriottico: la tendenza “Io compro italiano”, e quindi il prodotto Made in Italy progettato e realizzato in Italia e da aziende italiane, torna ad essere un po’ il diktat di alcune aziende e dei loro buyer.

Ormai da qualche anno la nostra azienda non si chiama più Moreschi S.r.l., ma è Italian Technology a brand Moreschi S.r.l. Un cambiamento che intende valorizzare il prodotto Made in Italy e la tecnologia italiana. Penso che questo trend sia un elemento positivo, non solo per noi ma per tante altre aziende italiane.

Quindi aver difeso in questi anni un approccio artigianale italiano, oggi vi ha premiato?

Sì, assolutamente e, se posso permettermi di dare un consiglio agli altri colleghi imprenditori – da piccolo imprenditore quale sono – dico che sarebbe bene avere un po’ più di consapevolezza, di spirito di appartenenza. Qui in Italia sappiamo fare molto bene tante belle cose: non abbiamo solo il buon cibo, il buon vino, le belle località dove fare villeggiatura; l’Italia comprende anche tante significative realtà industriali e artigianali che ogni giorno progettano, producono e realizzano prodotti con tecnologie che il mondo ci invidia.

Noi ormai ci approcciamo al mercato estero dal 2006. I primi contatti furono in Egitto – un cliente del Cairo che è ancora con noi oggi e a cui siamo molto affezionati – e in quell’occasione ci rendemmo conto delle potenzialità del nostro Paese. Per la prima volta partimmo, io e mio fratello, con il nostro trolley alla volta del Cairo e ci rendemmo conto di quanto il Made in Italy e le aziende italiane fossero ben accette lì e in molte altre parti del mondo, sfatando alcuni miti dell’italiano che va all’estero e approfitta dell’ingenuità dei clienti: un’immagine assolutamente falsa. Noi siamo veramente un grande Paese, abbiamo tante valide persone che sanno progettare e realizzare milioni e milioni di cose tutti i giorni.

Non abbiamo solo il buon cibo e il buon vino; l’Italia comprende tante significative realtà artigianali e industriali

[Un’avventura italiana: la sapienza del fare per inventare il futuro]

È significativa l’immagine di te e tuo fratello con il trolley in Egitto: è un po’ il simbolo della vostra avventura, che è partita dall’iniziativa di vostro padre che ha fondato un’azienda artigianale che oggi è diventata un’azienda internazionale. Questo caso è molto frequente in Italia: sicuramente è la nostra forza, ma probabilmente è anche il nostro limite. In base alla vostra esperienza, quali sono i vantaggi, le difficoltà e le prospettive che vi immaginate per il futuro?

Papà ha avviato la sua piccola impresa nel garage della casa dei nostri nonni: non vuole essere una battuta, è successo veramente così. Nostro padre ha iniziato da solo, in 80 metri quadrati di box, nel 1967. Era fabbro e lavorava cancelli e inferriate, oltre a riparare le macchine agricole, perché l’economia locale era quella. Si muoveva nel raggio di 10 chilometri dall’azienda, da Arzago, dove ancora oggi è la nostra sede, e aveva lavoro in ogni dove, perché erano gli anni ’60 e ’70, quando c’era lavoro ovunque… C’era tanto da fare e si poteva ancora guadagnare bene con l’economia in continuo fermento.

Gli anni passano e papà lascia progressivamente il mondo agricolo e si dedica prevalentemente a lavori civili e industriali; da qui le prime chiusure e i primi portoni industriali di fine anni ’70 e inizio anni ’80. Con il mio ingresso in azienda, circa 35 anni fa, ci siamo dedicati in toto a quello che è il nostro business odierno, vale a dire le chiusure industriali: porte e portoni per l’industria, per il commercio e per qualsiasi altro ambito. Si è abbandonato l’aspetto della carpenteria per dedicarsi anima e corpo alle chiusure industriali.

Nel 2000 è entrato in azienda anche mio fratello Sebastiano, che, dopo un’esperienza in un’azienda multinazionale come ingegnere, oggi mi affianca, soprattutto dopo la scomparsa di nostro padre. Lavoriamo bene insieme e ci completiamo a vicenda l’uno con l’altro. Ormai da oltre cinquant’anni l’azienda è presente sul mercato con prodotti su misura, con un’attenzione e un occhio di riguardo al servizio alla clientela e un prodotto di qualità medio-alta.

Com’è maturata la scelta di seguire l’attività di famiglia? È stata una scelta naturale o, in qualche misura, imposta?

Diciamo che era nel nostro DNA, avevamo le idee abbastanza chiare fin da piccoli. Ricordo che da bambino alla classica domanda “Che cosa farai da grande?”, io rispondevo “Andrò a fare il fabbro con mio papà”. E questo è quello che anche oggi dice mio figlio: ha 14 anni e sostiene che vorrà venire in azienda con noi, con me e mio fratello, e questa – mi auguro – potrebbe essere la terza generazione dell’azienda Moreschi.

D’altra parte anche mio fratello da piccolo diceva che sarebbe andato a fare l’ingegnere. Ci dicevamo sempre “Ognuno deve fare la sua strada”, poi invece circa vent’anni fa, nel 2000, le nostre strade si sono riunite, vuoi per un caso fortuito, vuoi per esigenze concrete – io e papà ormai non ce la facevamo più a seguire tutti gli aspetti dell’azienda, che cresceva sempre più. Fu in quell’occasione che chiesi una mano a mio fratello Sebastiano il quale, con non poco dispiacere, ha lasciato una grande azienda a livello mondiale, presente qui nella Bergamasca, ed è entrato in azienda con me e papà.

Da lì è iniziata la nostra espansione in Italia, e poi subito dopo – nel 2006-2007 – anche all’estero. Con la nostra valigetta, lasciando a casa i nostri affetti, la nostra azienda e le nostre famiglie, ce ne andavamo in giro per il mondo, perché già ci accorgevamo che era doveroso sviluppare il nostro business in Italia, ma anche fuori c’è tanto da fare. Poi è venuto il resto: le Fiere internazionali, che frequentavamo più come visitatori che come espositori, e i primi siti internet, con contenuti già in doppia lingua (italiano e inglese). I primi contatti all’estero ci hanno portato prima in Egitto e poi in altre nazioni, fino a realizzare quasi undici anni fa la prima azienda produttiva Moreschi in India, ad Hyderabad, 7 anni fa gli uffici commerciali negli Stati Uniti e subito dopo in Inghilterra. Allora l’economia in Italia era ancora molto vivace.

Tutto ciò ha preceduto la crisi edilizia italiana, che si è avuta anche a livello mondiale. Questo ci ha spinto ad aprirci ad altri settori, non limitati esclusivamente all’edilizia. È il caso, per esempio, dell’ambito farmaceutico – produciamo diverse porte e portoni per l’industria farmaceutica – e dei settori che richiedono grandi dimensioni: cantieri navali, aeroporti, eliporti, hangar militari, depositi di yacht e altre imbarcazioni.

È stata una svolta: non produrre più solamente porte e portoni standard, ma anche realizzare prodotti per nicchie di mercato, che in realtà per noi non sono più nicchie, perché costituiscono il nostro vero business.

Insistendo ancora sul concetto del Made in Italy, abbiamo riproposto, ormai da oltre un decennio, i vecchi portoni che producevo con mio padre oltre trent’anni fa, quindi portoni da fabbro, di carpenteria, ma ripensati come un prodotto di design. È la stessa cosa che ha fatto la Fiat con la vecchia “nuova” 500. Non mi voglio certo paragonare a prodotti sicuramente più importanti delle nostre chiusure industriali, ma il nostro è diventato davvero un bel prodotto da realizzare, posare e installare in ambienti e su strutture importanti. Per esempio ai padiglioni fieristici di Teheran (Sun City Project) hanno installato le nostre chiusure in acciaio e vetro.

I vecchi portoni che producevo con mio padre oltre trent’anni fa sono stati ripensati come prodotto di design

Una bellissima idea. Spesso queste riedizioni si incontrano nell’arredamento, nella moda, nei prodotti di design: nel vostro caso l’applicazione è completamente diversa, le antiche caratteristiche tecniche sono state aggiornate e innovate, conservando però quel sapore di un prodotto di anni forse irripetibili. È una soluzione che genera curiosità e riscuote un certo interesse?

Assolutamente sì. Genera curiosità e interesse e… genera produzione. Aiuta a far funzionare bene una piccola azienda di circa 40 collaboratori che si impegna quotidianamente nella ricerca di nuovi prodotti e di soluzioni innovative. “Abbiamo sempre fatto così” per noi non esiste. Sì, finora abbiamo fatto così, però c’è anche da fare qualcosa in più, c’è sempre qualcosa di nuovo da sperimentare.

Un esempio: per una cantina di vini in Corsica – un altro settore di mercato in cui siamo presenti – abbiamo realizzato alcuni portoni in acciaio e vetro, e anche portoni in Cor-Ten, una finitura in acciaio che simula la ruggine. Anche questo è un prodotto di design che ai progettisti, agli architetti e ai designer piace molto e che spesso si sposa perfettamente con ambienti particolari.

Mi sembra una storia bellissima, perché c’è dietro soprattutto una sapienza del fare, l’idea di fare bene le cose e di farle bene in prima persona.

Tutto questo nasce dal “saper fare” di nostro padre Carlo, che ci ha insegnato l’amore per il nostro lavoro e per l’azienda. Noi dedichiamo tante energie alla nostra attività, sottraendo anche tempo prezioso agli affetti familiari e al tempo libero, ma siamo nati e cresciuti in azienda. Mio fratello è arrivato poco tempo dopo, ma si è sentito – forse ancor più del sottoscritto – integrato pienamente nell’azienda: anima e corpo per la nostra realtà. E questo nasce dalle mani e dalla testa di nostro padre, che ci ha insegnato tutto ciò. Un valore non da poco.

Tutto questo nasce dal “saper fare” di nostro padre, che ci ha insegnato l’amore per il lavoro e l’azienda. Un valore non da poco

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Le categorie selezionate da Pool Industriale per l'organizzazione generale delle aziende

STRUTTURE

  • Edilizia industriale Costruzioni
  • Coperture tetti
  • Rivestimenti facciate
  • Tende tecniche
  • Domotica
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  • Bagni Spogliatoi
  • Allestimenti e arredi
  • Strutture in vetro
  • Elevatori Ascensori
  • Illuminazione
  • Luce naturale
  • Lavoro in quota

MAGAZZINO

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  • Contenitori speciali
  • Scaffalature industriali
  • Stoccaggi automatizzati e magazzini speciali
  • Stoccaggi speciali
  • Punti di carico e scarico
  • Contenitori industriali in plastica
  • Carrelli industriali

Energia – Impianti termici

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  • Centrali termiche
  • Solare fotovoltaico
  • Condizionamento Riscaldamento

Pulizia – Igiene

  • Macchine pulizia industriale
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  • Abbigliamento tecnico
  • Accessori lavoro e igiene

Fine linea Controllo Etichettatura RFID

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  • Misura e prova
  • Dosaggio Conteggio Pesatura
  • Visione industriale
  • Identificazione RFID Tag Transponder
  • Etichettatura
  • Codifica Marcatura Bar code

Ecologia

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  • Smaltimento rifiuti
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Movimentazione

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  • Piattaforme di sollevamento
  • Manipolazione in assenza di peso
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Logistica – Distribuzione

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Articoli tecnici

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